Sono...stanco! E la cultura "dell'aiutino"

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quanto la percezione della nostra stanchezza influenza il decorso della stanchezza stessa?

Quante volte ci capita di pronunciare questa affermazione o anche solo "pensarla" nella nostra testa. Le conseguenze dell'autodefinirsi "stanchi" sono molteplici. Ma ciascuno di noi ha in mente conseguenze e soluzioni diverse da mettere in atto.

Nel senso comune la stanchezza è un "sintomo" di un qualcosa di cui preoccuparsi. Alcuni eventi clinici sono spesso associati a stanchezza (malfunzionamento della tiroide, stati depressivi e alterazioni dell'umore, carenze vitaminiche o anemia).

Non a caso in molti casi la soluzione ricercata è quella di "integrare" l'ipotetico deficit del quale siamo portatori (in un meccanismo purtroppo senza fine di auto-svalutazione e auto-attribuzione di debolezza o "presunta" tale) attraverso l'attenzione alla "giusta" alimentazione o il recuperò della "giusta" quantità di sonno. 

La cultura dell'integratore (sali minerali, vitamine, nutrienti) è spesso figlia di questo "modello" producendo un incremento dell'utilizzo di sistemi non sempre efficaci. L'idea è quella di dover fornire "in ogni caso" una performance eccellente, dove "l'errore" non è contemplato e dove non riusciamo a riconoscere le opportunità che dall'errore stesso possano derivare.

Non escludendo il "naturale" ri-equilibrio del ciclo tra momenti di attività e momenti di riposo, la gestione dell'igiene del sonno, del benessere nutrizionale e psicologico, pensiamo sia utile osservare quanto la nostra valutazione dell'idea di "stanchezza" possa incidere sulla stanchezza stessa.

Allora possiamo pensare che (e non sempre ne siamo consapevoli!):

  • se sono stanco sono a "rischio" 
  • se sono stanco ho bisogno di essere aiutato/a
  • se sono stanco non riesco a fare le cose importanti per me 
  • se sono stanco sono malato/a o potrei ammalarmi 
  • se sono stanco non sono piacevole o gradevole agli occhi degli altri
  • se sono stanco non risulto attraente o simpatico/a .........

Sperimentiamo anche determinate emozioni che rendono la "stanchezza" ulteriormente invalidante:

  • la paura della stanchezza
  • l'ansia di provare stanchezza
  • la rabbia per il fatto di essere stanchi
  • il rifiuto della stanchezza ..........

 Mettiamo in atto comportamenti che "dovrebbero" risolvere il problema come:

  • diminuire le proprie attività
  • aumentare le ore di riposo
  • assumere integratori multi-vitaminici........

Quello che ne deriva è un "circolo vizioso che mantiene la percezione del disagio" e lo rinforza. Nelle situazioni più complesse questo può favorire un blocco che ostacola la persona nella sua quotidianità e nelle sue relazioni.

Come fare?

Prendere consapevolezza dei fattori (personali e ambientali) che intervengono sul fenomeno è una possibile iniziale risposta alla gestione dei "problemi di stanchezza", depotenziando quindi quei modi disfunzionali di vedere "il problema" (convinzioni personali) e promuovendo  azioni funzionali ai propri scopi e quindi maggiormente efficaci.

Nello spazio di consulenza seguono poi riflessioni necessarie alla "pianificazione e organizzazione" delle proprie attività sul piano comportamentale, l'apprendimento di metodi per affrontare gli imprevisti, limitare gli errori, utilizzare al meglio le proprie risorse personali.

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